Psicologia

Bambini adottati in Ucraina e Russia, ecco come spiegare a loro la guerra

Bambini adottati in Ucraina e Russia, ecco come spiegare a loro la guerra. I consigli per i genitori della psicoanalista Ivana De Bono

La presidente della Spiga (Società di psicoanalisi interpersonale e gruppoanalisi): “Nei ragazzi adottati il clima di ansia può rievocare un vissuto che appartiene al passato. Anche in questo caso è fondamentale la vicinanza della famiglia adottiva”
di Geraldina Fiechter

Mai sottovalutare l’impatto sui bambini di un clima di guerra come quello che stiamo vivendo. Ma è ancora più vero oggi, dopo due anni di pandemia che già hanno messo a dura prova il loro equilibrio. Le statistiche parlano chiaro: i disturbi stanno aumentando. Ansia, rabbia, spaesamento, stanchezza emotiva. Tocca all’adulto di riferimento farsene carico, soprattutto con i bambini o i ragazzi che hanno qualche fragilità. Ma come aiutarli? Ce lo spiega Ivana De Bono, presidente della Spiga (Società di psicoanalisi interpersonale e gruppoanalisi), specializzata sui temi dell’infanzia, dell’adolescenza e in particolare dell’adozione. “Stiamo vivendo tutti una condizione di estrema stanchezza e oserei dire delusione: dopo essere stati così a lungo sotto una calotta opprimente, si era accesa la possibilità di una rinascita, di un riavvicinamento agli altri. È come se questa fiammella di speranza fosse stata spenta brutalmente dai venti di guerra scoppiati vicino a noi, con un flusso di immagini e notizie a cui nessuno può sottrarsi, neanche i bambini”.

I bambini adottati in Ucraina possono soffrire di disturbi di ansia, rabbia, spaesamento, stanchezza emotiva (Foto Ansa)

Siamo passati da un virus che ha fatto strage di anziani a una guerra che fa strage di bambini: siamo tutti coinvolti, colpiti nel profondo. È troppo per i nostri figli?

“Esatto. E vedere i bambini ucraini toccati nelle loro cose più care, i genitori, i parenti, le loro case, le scuole, è qualcosa che tocca corde molto profonde. Ci fa sentire impotenti, delusi da un mondo che avevamo sperato diverso”.

Cosa possiamo fare per loro?

“Rispondere alle loro domande, non lasciarli soli nella loro angoscia, usando il linguaggio adatto alla loro età e senza dire troppo. Una mamma mi ha detto: ‘mio figlio ci ha bombardato di domande’. Può essere il segno di un’ansia eccessiva, certo, tuttavia bisogna cercare di contenere l’angoscia cercando di rispondere. Mi viene in mente il film di Benigni La vita è bella: quel padre cerca di fare proprio questo”.

Per molti di loro è il primo impatto con l’idea della guerra, e vedono che c’è un aggressore e una vittima. Questo non apre nuove paure nei confronti dell’umanità?

“Certo. E dobbiamo spiegare che è vero, esistono persone che per il potere o i soldi sono disposti a tutto, ma la cosa importante è che ci siano bambini buoni come te che un giorno, quando sarete grandi, contribuirete a evitare guerre come queste”.

Quindi negare o rimuovere non serve. E come possiamo attenuare il loro senso di spavento e di tristezza?

“Accogliendoli e cercando di trasformare quella tristezza in qualcosa di positivo. Quando per esempio dedicano un disegno ai bambini in guerra, o mettono da parte un gioco o un vestitino da inviare in Ucraina, vanno incoraggiati. Assecondare il loro bisogno di fare qualcosa di utile serve ad attenuare il senso di impotenza, che è paralizzante”.

Per Ivana De Bono “nei bambini adottati il clima di incertezza e di ansa può rievocare un vissuto che appartiene al passato. È un nuovo trauma su altri traumi” (Foto Ansa)

Ma non tutti i bambini sono uguali. Che reazioni hanno i ragazzi adottati, in particolare chi viene dalle zone di guerra?

“Le risposte agli eventi traumatici dipendono dall’età, dalla loro storia, dalle situazioni familiari e sociali. Nei bambini adottati, che hanno comunque reazioni fra loro diverse, questo clima di incertezza e ansia può rievocare un vissuto che appartiene al passato. È un nuovo trauma su altri traumi. Può riaffacciarsi quel senso di inadeguatezza che accompagna chi ha subito un abbandono. Anche in questo caso è fondamentale la vicinanza della famiglia adottiva, il cui compito principale è sempre quello di creare un ponte fra il presente e il passato, ripristinare il filo della continuità per curare le fratture”.

Che tipo di reazioni ha raccolto da questi ragazzi dell’Est?

“Varie. Le faccio qualche esempio: una famiglia voleva ospitare una mamma con figli ucraini. Il figlio adottivo, anche lui ucraino, si è opposto spiegando che aveva paura: ‘Che faccio – ha spiegato – se mi trovo davanti la mia mamma biologica?’ Anche la paura che la mamma biologica sia morta, con questa guerra, è un pensiero abbastanza comune nei ragazzi adottati in Ucraina o in Russia. È come se la guerra avesse reciso ulteriormente le loro radici. Per chi viene dalla Russia, e che magari si sente guardato male (anche questo mi viene riportato), è importante aiutarlo a capire che Putin è una cosa e il popolo russo un’altra, stargli vicino facendogli fare quel percorso emotivo che lo porta fuori dalla contrapposizione fra bene e male. Siamo tutti un po’ bene e un po’ male, guai a negare le parti più scomode di noi stessi. Tornerebbero fuori in altra forma, una forma spesso pericolosa o autolesionista”.

 

I bambini adottati in altri Paesi hanno meno problemi, in questa fase?

“Possono essere meno coinvolti rispetto alle loro radici, ma ho per esempio il caso di una bambina etiope che ugualmente si è rifiutata di accogliere in casa una bambina ucraina. Questo è il segno di una difficoltà ad avvicinare la sofferenza altrui per paura che torni fuori il proprio passato e la propria sofferenza”.

Quale errore non bisogna fare con questi figli?

“Una mamma mi ha raccontato di aver detto alla figlia adottiva di non dire in giro che ha origini russe. Ecco, questo proprio no, non farebbe che alimentare il senso di inadeguatezza che è sempre in agguato: ‘Non valgo molto ed è per questo che sono stato rifiutato, quindi devo nascondermi’.

Ma una parola di incoraggiamento ce l’ha, per finire?

“Eccome: le fratture sono occasioni per risanare le ferite da disagi che altrimenti scenderebbero negli strati più profondi. Quindi armiamoci di empatia e pazienza e diamo fiducia a questi ragazzi, ne usciranno figli (e persone) speciali”.

Fonte: https://luce.lanazione.it/bambini-adottati-ucraina/