Psicologia

Cosa manca al decreto Pillon

Cosa manca al decreto Pillon
DDL N.735 DEL 1° AGOSTO 2018/DECRETO PILLON
07/12/2018

Commento a cura della Dr.ssa Annarosa Porfilio, Psicologa e Psicoterapeuta CTU del Tribunale di Roma
La riflessione sul tema del rapporto genitori-figli, alimentata negli ultimi tempi dal dibattito sorto intorno al ddl n.735 del 1° Agosto 2018, più noto come decreto Pillon, mi spinge ad affrontare il tema della soluzione che viene proposta nei casi di alta conflittualità tra i genitori in caso di separazione.

Nell’art.18 del suddetto ddl, nei casi contemplati, la condotta inadempiente di un genitore porta ad una limitazione della responsabilità genitoriale sino alla disposizione del collocamento del minore stesso in struttura apposita mentre, altrove, dovrebbe essere attuato un programma che permetta il recupero della bi-genitorialità. Altrove, tuttavia, prende la forma di uno spazio di intervento come se figlio e genitori, finanche inadempienti, fossero entità da considerare isolate.
È nell’introduzione allo stesso ddl, che paradossalmente, vengono citati i “diritti relazionali” dei minori, che però, nel disegno di legge, non vengono affrontati in maniera più ampia e diversificata.

La riflessione che nasce riguarda la possibilità di ottenere con tempestività l’attuazione di un dispositivo che si focalizzi, non solo sugli adulti in conflitto (mediazione), ma soprattutto sulla relazione tra ciascun genitore e il figlio, con l’ausilio di una figura ‘terza’ che garantisca proprio quei diritti relazionali menzionati nel ddl.

Nell’operare in qualità di Consulente Tecnico d’Ufficio in casi di rifiuto di un minore di frequentare uno dei due genitori, si è messo in atto, dal 2014, già in sede di operazioni peritali, la sperimentazione su singoli casi di una figura professionale altra che lavorasse nello specifico sulla relazione genitori-minori. Si tratta di una soluzione esplorativa, di nuove possibilità rispetto a quelle offerte dalla mediazione. Nell’arco di tempo assegnato alla consulenza si è potuta fare esperienza, dopo apposita valutazione delle dinamiche conflittuali familiari, della co-costruzione di un programma specifico per quei genitori e per quel minore, iniziato nell’iter peritale e esteso agli spazi di vita quotidiana.

È nell’attenzione alle piccole cose, nel suonare i tasti giusti che si trovano al nostro interno e nella capacità di osservare, che si innesta la figura di un operatore con la funzione specifica di comprendere profondamente le qualità e le storture della relazione genitori-figli e non solo quelle tra genitore e genitore. Ciò richiede una formazione doppia che faccia riferimento, da una parte allo studio delle ‘relazioni’ e, dall’altra, allo studio dei bisogni specifici del minore nelle diverse età.

Senza il criterio necessario e impegnativo della formazione, dell’addestramento all’ascolto di messaggi anche non verbali, nessun esito positivo è possibile. Con il passare del tempo, sempre di più i Giudici che si occupano di Diritto di Famiglia hanno colto questa sfumatura, giungendo al riconoscimento necessario di tali approcci, inserendo nelle relative ordinanze il termine ‘operatore’, inteso come altro dal consulente (Tribunale di Roma, I Sezione Civile).

Quanto sopra esposto vuole evidenziare che è possibile adeguarci o soddisfare i bisogni delle persone in difficoltà con un’attenta e peculiare valutazione dei bisogni specifici di ciascun nucleo familiare, affinché a questo venga restituita la possibilità di recuperare una buona qualità relazionale che lo conduca al superamento del conflitto sviluppatosi al suo interno a seguito della separazione.