Psicologia

Relazioni tossiche: cos’è la dipendenza affettiva e come uscirne

Relazioni tossiche: cos’è la dipendenza affettiva e come uscirne

Alcune persone sono più soggette di altre a cadere vittime di un seduttore narcisista, rischiando di precipitare in un rapporto tossico e logorante. Con la guida di uno psicologo e psicoterapeuta cerchiamo di chiarire cosa sia la dipendenza affettiva, quali i segnali per riconoscerla e i suggerimenti per prendere le distanze da un partner sbagliato

Diciamoci la verità, in amore siamo tutti un po’ dipendenti: spesso dalle attenzioni dell’altra persona, dalle piccole cose, dalle abitudini “felici”. Ma fin qui si tratta di una “dipendenza” sana, della necessità del partner nella propria vita come arricchimento e punto di forza. Ma ci sono relazioni in cui la dipendenza – in questo caso si parla di dipendenza affettiva – è qualcosa di nocivo, che logora la persona dipendente. Quando un soggetto senza una “vocazione dipendente” incontra un seduttore narcisista è in grado di non cadere nella sua tela, di riconoscerlo e mollarlo. Può capitare a tutti di rimanere affascinati da una persona del genere, ma la vocazione dipendente rende le persone particolarmente esposte a questo tipo di relazioni e a diventare succubi del partner, precipitando in una rapporto tossico e logorante.
Lo psicologo e psicoterapeuta Massimo Borgioni – autore del libro “Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza vuota” (Alpes, 2015) – ci aiuta ad avere un quadro più chiaro su cosa sia una relazione tossica, sui segnali che ci permettono di riconoscerla, su tre passi fondamentali per uscire da questa prigione e sull’identikit del soggetto narcisista-predatore che sottomette il partner dipendente.

Che cos’è una relazione tossica?
“Si tratta di una relazione contrassegnata da un forte aspetto di dipendenza”, risponde il Dottor Borgioni. “Naturalmente in ogni relazione amorosa esistono anche degli aspetti di dipendenza, ma questi dovrebbero essere sempre bilanciati dal mantenimento di un’adeguata capacità critica e anche da un desiderio di autonomia personale da parte di entrambi i partner. Nelle relazioni tossiche invece accade che uno dei partner – una volta più spesso era la donna ma adesso capita anche agli uomini – tende a “funzionare” in modo prevalente o in certi casi esclusivo sulla modalità dipendente. Questo nella relazione di coppia porta la persona che si trova in questa posizione a perdere quote sempre maggiori di potere personale, quindi a perdere la propria autonomia, indipendenza e libertà di scelta, finendo – in alcuni casi – in una condizione di vero e proprio sfruttamento emotivo e fisico. La persona che si trova all’interno di queste relazioni, nelle condizioni più gravi ed estreme, può subire anche situazioni di violenza. La dipendenza affettiva è molto simile alla tossicomania, con la sola differenza che in questo caso l’oggetto tossico non è una sostanza ma una persona”.

Da cosa si riconosce invece una relazione “sana”?
“In una relazione sana gli aspetti di dipendenza si bilanciano sempre con l’autodeterminazione e con le capacità di scelta dell’individuo. Si tratta di una relazione contrassegnata da una situazione di reciprocità, per cui c’è uno scambio di piacere, di arricchimento, di crescita, che viaggia in tutte e due le direzioni. Al contrario, la relazione tossica è monodirezionale. Uno dei partner finisce per essere asservito nei confronti dell’altro e il partner che si lascia sfruttare è invariabilmente quello dipendente, ossia quello che paradossalmente avrebbe più bisogno di considerazione e di sostegno.

Ci sono soggetti che più di altri rischiano di cadere in una relazione tossica?
“Generalmente le persone che tendono ad avere una relazione tossica hanno una profonda incapacità di vivere la solitudine, la vivono non come un’opportunità ma come una condizione da cui fuggire in modo fobico. Questo ha un’origine specifica nelle carenze che le persone dipendenti hanno vissuto con chi si è preso cura di loro durante l’infanzia. Si tratta di un vissuto che ha a che fare con l’abbandono, con il non riconoscimento e con il rifiuto, e pur di non riviverlo, il dipendente affettivo è disposto ad accettare le condizioni più umilianti e mantenere il rapporto. Occorrerebbe educare i ragazzi a non cadere mai nei falsi miti dell’amore. Abbiamo un repertorio sterminato di favole romantiche, film e canzoni che favoriscono l’ideale dell’ “io ti salverò / tu mi salverai” e i miti di auto-sacrificazione in nome dell’amore. Ci sarebbe bisogno di una pedagogia del rispetto di sé, che insegni il diritto di dire no e che porti a identificare la relazione d’amore con un’opportunità di piacere e di crescita, non come un’esperienza di sacrificio e sottomissione.

Cinque segnali per riconoscere la “tossicità” di una relazione:
1) DIPENDENZA. Chiaramente il primo segnale è proprio la relazione di dipendenza. La persona affettivo-dipendente che si trova in questa relazione generalmente tende ad affidare al suo interlocutore tutte quelle funzioni di autoregolazione che dovrebbe poter assolvere anche da sola. In questo modo l’altro diventa indispensabile, ad esempio per la regolazione e il mantenimento dell’autostima o per il contenimento degli stati di ansia. In alcuni casi l’altro diventa indispensabile anche per il mantenimento di un sentimento di integrità e di coesione personale, per cui la sensazione, di fronte al suo allontanamento, può essere quella di andare in pezzi. In quest’ottica l’altro, per il dipendente affettivo, può diventare il polo unico in grado di suscitare emozioni forti e l’unica ragione per sentirsi motivati e vivi. È come se il partner fosse l’unico in grado di tirare fuori la persona affettivo dipendente da una condizione depressiva di base dandole l’illusione di sentirsi rivitalizzata. Questo porta la persona affettivo-dipendente ad essere soggetta ad una sindrome di tipo astinenziale: se si perdono queste funzioni di autoregolazione, la persona entra nel panico e si tutela dalla possibilità di non vivere più questo disagio solo garantendosi la prossimità del partner, pagando per questo un prezzo a volte elevatissimo.

2) SEPARAZIONE. La persona affettivo-dipendente sviluppa una forma di assuefazione: il partner diventa fondamentale per mantenere l’equilibrio psichico e non non ne tollera la distanza. Quello che caratterizza queste situazioni è l’incapacità di sostenere l’evento della separazione. La persona dipendente non sa staccarsi dal partner ed è incapace di elaborarne la perdita.

3) RICATTO E ISOLAMENTO. Il fatto di vivere malissimo distanze e separazioni innesca una situazione per la quale la persona affettivo-dipendente diviene facilmente ricattabile: pur di evitare la separazione tende a rinunciare ad aspetti importanti della propria esistenza, magari ai propri interessi, al proprio lavoro, perfino ai propri valori etici, finendo per perdere la propria identità e la rete socio-affettiva di riferimento, isolandosi .

4) PARTNER NARCISISTA. I dipendenti affettivi sono caratterizzati dal ricercare partner non amorevoli; sovente si lasciano sedurre da chi rappresenta in qualche modo il loro opposto, ossia da un soggetto che incarna un’immagine fortemente autoreferenziale, di sicurezza. Solitamente si tratta di persone che hanno una forte vocazione contro-dipendente, ossia di narcisisti, che possiedono in alcuni casi anche una componente psicopatica o sadica. Il dipendente affettivo è fortemente attratto dal narcisista perché questo incarna quell’ideale di perfezione e sicurezza a cui si vorrebbe attaccare e con il quale vorrebbe fondersi. I partner narcisisti, soprattutto all’inizio della rapporto, tendono a promettere molto ma poi, di fatto, non sanno concedere nulla, se non una relazione dove nei casi più gravi tendono a esercitare il controllo sul partner dipendente, a umiliarlo, a maltrattarlo, a mantenerlo in una condizione di assoggettamento e di minaccia, senza concedergli nulla nei termini di una reale affettività.

5) ESISTENZA “DI SERVIZIO”. La persona dipendente si trova a condurre una sorta di esistenza di servizio dal punto di vista affettivo: si mette nella condizione di servire questi soggetti, in qualche maniera di adorarli e di venerarli nell’attesa di un riconoscimento che non arriverà mai.
Questo è il paradosso tipico di ogni condizione di tossicodipendenza, dove si punta tutto per ottenere un certo tipo di risultato e ci si ritrova a vivere nella situazione esattamente opposta. Il dipendente affettivo nutre l’illusione di aver trovato la figura salvifica che lo risolleverà dalla situazione depressiva di solitudine e abbandono nella quale si sente e finisce per diventare la persona più sola, abbandonata e deprivata che ci possa essere dentro una relazione, un po’ come accade all’eroinomane che cerca negli oppiacei una sedazione assoluta da ogni dolore finendo poi per essere travolto dai morsi terribili dell’astinenza.

Tre consigli per uscire da questa situazione:
1) IMPARARE A COLTIVARE L’ARTE DELLA SOLITUDINE. Il dipendente affettivo deve imparare a stare da solo. A non vivere soltanto di luce riflessa, a non essere solo l’eco della voce di qualcun altro, ma deve anche sentire in sé il potere di auto-generare una narrativa sua propria, una sua personale reattività.

2) ACCETTARE LA PROPRIA STORIA PER NON RIPRODURLA. Il dipendente affettivo, nelle sue relazioni d’amore, cerca sempre qualcuno senza cuore per poterlo conquistare, un po’ come se volesse riscattare la propria infanzia deprivata. Le persone dipendenti sono attratte da chi non le ama e non le considera, come è già accaduto nelle loro relazioni primarie, ma vogliono conquistarne il cuore per riscattare la considerazione che sentono di non aver ricevuto durante l’infanzia: per sentirsi amabili devono alzare l’asticella della sfida. Amano l’azzardo in amore, ma alla fine perdono sempre. In questa maniera il dipendente affettivo non fa altro che riprodurre la propria storia, circondandosi di persone incapaci di amarlo.

3) LIBERARSI DAI FALSI MITI DELL’AMORE. I falsi miti sono generalmente miti sacrificali e salvifici. I miti sacrificali ci dicono che amare significa annullare se stessi per l’altro, magari con l’aspettativa che poi l’altro faccia lo stesso per noi: assolutamente falso. I miti salvifici ci dicono che amare significa salvare l’altro, anche in questo caso nell’attesa che l’altro faccia lo stesso con noi. Ma la realtà è che nessuno salva nessuno e l’amore non c’entra niente con questo genere di visioni.

Se stai vivendo una relazione simile ed hai bisogno di un supporto emotivo puoi contattare la Dott.ssa Valentina Santopolo al numero 327 6134241. Potrai fissare un primo colloquio gratuito.

Fonte: https://d-repubblica-it.cdn.ampproject.org/v/s/d.repubblica.it/life/2018/02/09/news/relazioni_tossiche_dipendenza_affettiva_cos_e_cause_e_come_uscirne_identikit_uomo_narcisista-3851690/amp/?amp_js_v=a2&amp_gsa=1&usqp=mq331AQCKAE=#aoh=15702197256525&referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com&amp_tf=Da%20%251%24s