RELAZIONE EMPATICA: FONDAMENTO PER L’INTERPREZIONE IN AMBITO CLINICO-PERITALE
di Anita Lanotte e Rocco Emanuele Cenci
Pubblicato in Newsletter AIPG n° 41
La parola empatia deriva dal greco “εμπαθεια” (empateia, da en “dentro“ e pathos “sentimento”),
veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo
pubblico. La Treccani definisce l’empatia come “In generale, la capacità di comprendere lo stato
d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona in modo immediato, prevalentemente senza
ricorso alla comunicazione verbale”.
In ambito psicologico clinico e psicopatologico si utilizza il termine empatia per indicarne la
mancanza o la presenza come tratto significativo in alcune sindromi particolari.
Andiamo a prendere in considerazione quelle Personalità nei cui tratti comportamentali sia presente
il termine “empatia”, all’interno dei vari Disturbi di Personalità per quanto riguarda il DSM – IV R e
delle Tipologie di Personalità come proposte dal gruppo di ricerca che sta ultimando la lavorazione
del DSM -V.
• Disturbo Antisociale: ”frequentemente mancano di empatia”
• Disturbo Narcisistico: “mancano di empatia, sono incapaci di riconoscere o di identificarsi con
i sentimenti e le necessità degli altri”
• Disturbo Borderline: “questi individui empatizzano con gli altri e li coccolano ma solo con
l’aspettativa che gli altri saranno presenti a loro volta per soddisfare le loro necessità”
• Tipo Antisociale-Psicopatico: “emotivamente duri, callosi, mostrano poca empatia per bisogni
e sentimenti altrui”
• Tipo Borderline: “empatia verso gli altri severamente compromessa”
Prendendo in considerazione i suddetti disturbi salta immediatamente agli occhi che per alcuni di
essi l’empatia può essere quantitativamente deficitaria; nel Disturbo Borderline e nel Tipo
Borderline l’empatia, o meglio il suo utilizzo nel modo di essere comportamentale, viene invece
caratterizzata qualitativamente.
Nonostante il concetto di empatia sia dato, la tematizzazione come argomento a sé stante è stata
definita in modo differente dai vari approcci conoscitivi che se ne sono occupati.
In questo lavoro si è cercato di rintracciare, attraverso il significato attribuito all’empatia da varie
discipline (filosofica, neuroscientifica e psicoanalitica), delle linee comuni che possano essere utili a
dare una base interpretativa fruibile in ambito clinico-peritale di un modo di agire fondamentale ma
a volte sottinteso e dato per scontato. Per ognuno dei diversi approcci sono stati presi in
considerazione gli esponenti più significativi che hanno offerto il loro contributo sull’empatia.
In ambito filosofico, Theodor Lipps parte da una ipotesi causale genetica dell’empatia, come teoria
dell’imitazione interiore. Partendo da questa teoria descrive l’Einfühlung ovvero
‘immedesimazione’, “come partecipazione interiore ai vissuti estranei in una totale
sovrapposizione dell’Io empatizzante con l’oggetto empatizzato. […] l’impulso imitativo pero’ non
si limita all’imitazione del gesto altrui, alla mimica motoria, ma è corredato da un contenuto
affettivo.
Edith Stein, nella sua tesi di dottorato in Filosofia sotto la guida di Husserl, definisce l’empatia
come “esperienza di soggetti estranei e della loro esperienza vissuta”2.Dalla comparazione tra atto
empatico e altri atti della coscienza, la Stein riferisce che l’empatia non ha il carattere di una
percezione esterna e non è un’ideazione, dato che si tratta di cogliere qualcosa che già esiste, ma è
piuttosto un atto vissuto nel presente.
La stessa individua tre possibili gradi di attuazione del vissuto empatico:
1° emersione del vissuto, ovvero cogliere il fenomeno sul qui ed ora,
2° sua esplicitazione riempiente, ovvero immedesimarsi nel fenomeno,
3° oggettivazione comprensiva del vissuto esplicitato, ovvero il riconoscimento del fenomeno
come appartenente all’altro, quindi comprendere che si tratta di un atto originario, esperito
dall’altro nel qui ed ora e non dell’Io che empatizza.
La consapevolezza della non originarietà del contenuto senso-percettivo, emotivo o esperienziale,
permette di separarsi dal fenomeno, renderlo oggettivato e quindi analizzabile. La descrizione
dell’immedesimazione di Lipps come “partecipazione interiore ai vissuti estranei” coincide col più
elevato grado di attuazione dell’empatia descritto dalla Stein, ovvero esperienza della coscienza
estranea.
Nell’ambito delle neuroscienze ci si è riferiti alle ricerche di Gallese e Rizzolatti e alle loro
ricerche sui neuroni specchio. I neuroni specchio sono strutture neuronali presenti nell’area frontale
premotoria F5, “si attivano sia quando vengono eseguite azioni finalizzate a uno scopo sia quando
si osservano le stesse azioni eseguite dagli altri. L’individuo ha la capacità innata di internalizzare,
incorporare, lo stato di un’altra persona, e i neuroni specchio costituiscono la base di questa
capacità. […] Sia provare soggettivamente disgusto che essere testimoni della stessa emozione
espressa dalla mimica facciale di un altro attivano lo stesso settore del lobo frontale: l’insula
anteriore.” Andiamo a prendere in esame il concetto più specifico di Simulazione incarnata: “non vi è alcuna inferenza o introspezione, ma semplicemente una riproduzione automatica, non consapevole e preriflessa, degli stati mentali dell’altro. La comprensione degli stati dell’altrodipende dalla simulazione di contenuti analoghi da parte di chi li interpreta. Grazie alla simulazione incarnata non assistiamo solo a una azione, emozione o sensazione, ma parallelamente nell’osservatore vengono generate delle rappresentazioni interne degli stati corporei associati a queste azioni, emozioni e sensazioni, “come se” stesse compiendo una azione simile o provando una simile emozione o sensazione”. I neuroni specchio, attraverso la loro azione imitativa
darebbero una dotazione neurofisiologica alla immediata condivisione.
In ambito psicanalitico abbiamo preso in considerazione l’opera di Ralph Greenson:“Entrare in
empatia significa condividere, sperimentare i sentimenti di un’altra persona, sia pure
temporaneamente. Si partecipa alla qualità non all’intensità dei sentimenti. Alla loro natura e non
alla loro quantità. Scopo principale dell’empatia è raggiungere la comprensione del paziente.
L’empatia va distinta dalla simpatia perché non contiene l’elemento del dolersi insieme, dell’essere
d’accordo, della pietà. L’imitazione e la mimesi hanno anch’esse qualche analogia con l’empatia,
ma sono fenomeni coscienti e limitati alle caratteristiche esterne del comportamento della persona.
L’empatia va distinta dall’identificazione che è essenzialmente un fenomeno inconscio e duraturo,
mentre l’empatia è preconscia e temporanea. Scopo dell’identificazione è superare l’angoscia, il
senso di colpa o la perdita dell’oggetto, mentre dell’empatia ci si serve allo scopo di comprendere
meglio.”
Nel definire l’attività empatica fa una distinzione quantitativa in senso riduttivo ed espansivo “La
persona inibita nella capacità di provare empatia ha paura di essere coinvolta dall’altro. A livello
inconscio non è disposta a lasciare l’isolamento della posizione dell’osservatore non coinvolto, è
capace di pensare, ricordare, osservare, ma ha paura di provare emozioni, […] non riesce pertanto
a cogliere le comunicazioni più sottili e il loro significato”. “Le persone capaci di provare empatia
e non di controllarla partecipano alle esperienze emotive dei loro pazienti ma tendono a
coinvolgersi troppo intensamente e quindi non riescono a distaccarsi facilmente. Compiono il
passaggio da osservatore a partecipante, ma hanno difficoltà ad assumere nuovamente la posizione
di osservatore. Tendono ad identificarsi […] e ciò interferisce con la loro capacità di osservare ed
analizzare”.
A questo punto potrebbe essere interessante integrare i vari punti di vista appena affrontati per
arrivare ad una sintesi che sia fruibile come linee comuni per l’applicazione dell’attività empatica in
ambito clinico-peritale.
L’empatia
• E’ una fonte di conoscenza.
• E’ sentire insieme su un vissuto, un evento preciso, sull’hic et nunc.
• E’ necessario un processo di immedesimazione che non sia una fusione con l’altro, ma che lasci
spazi autonomi all’Io per differenziare l’originarietà dei vissuti.
• Non deve essere mediata da sovrastrutture cognitive.
• Richiede una sospensione del giudizio, ovvero non utilizzare modelli o categorie prestabilite
nell’incontrare l’altro.
• Presuppone l’essere presenti a se stessi, sentire l’emozione dell’altro qualitativamente e non
quantitativamente, in quanto è il coinvolgimento personale e non dell’altro che ne determina
l’intensità
• Deve tendere ad essere un fenomeno cosciente e temporaneo, focalizzato sulla tematica di cui è
richiesto l’approfondimento dal quesito.
• Permette partendo dal presente di comprendere il passato dell’altro.
Per arrivare a definire la relazione empatica, è necessario però differenziare i diversi livelli di
stratificazione attraverso cui bisogna passare per riuscire a realizzare la stessa.
I livello: attività empatica immediata e primitiva ovvero apprendere la relazione imitativa
attraverso una dotazione sia organica (neuroni specchio) che dinamica (identificazione proiettiva) in
cui i significati emotivi sono automatici, fusionali e simbiotici. Il contagio e la suggestionabilità
tendono a dominare la relazione caratterizzata da una potente psicomotricità espressiva.
Valenza inconscia.
II livello: attività empatica immediata e condivisa ovvero apprendere la relazione differenziata
(identificazione dell’Io) in cui i significati emotivi vengono riconosciuti come propri o altrui.
L’immedesimazione tende a dominare la relazione caratterizzata dall’intenzione all’ascolto.
Valenza preconscia e/o cosciente.
III livello: attività empatica immediata e riflessiva ovvero apprendere la relazione empatica
(individuazione) in cui i significati emotivi vengono riconosciuti come propri o altrui da un punto di
vista mentale.
Valenza cosciente e consapevole dell’ascolto.
In conclusione, emerge come il rapporto tra perito e periziando sia una delle variabili che entra in
gioco nella comprensione della personalità. Il perito, nel suo desiderio di essere scientifico e
oggettivo, deve necessariamente comprendere gli aspetti osservabili del periziando, in quanto
espressione del suo modo di essere in relazione al suo modo di vivere la situazione in cui si trova
con noi: è in base al suo presente che possiamo comprendere il suo passato e non viceversa. Per
effettuare questo orientamento è necessario però sospendere il giudizio, ovvero non utilizzare
paradigmi teorici precostituiti di pensiero, ma accostandosi alla persona senza frapporre ulteriori
sovrastrutture, in un posizionamento di ascolto e di curiosità che permette di comprendere con la
maggiore accuratezza possibile il suo modo di essere. Nella relazione tra due personalità, perito periziando, il perito deve possedere una plasticità tale per potersi immedesimare in un altro modo di essere e poi tornare al proprio punto di vista.
Se tale modo gli è completamente alieno, è perché probabilmente non riesce ad attingere alle
proprie potenzialità emotive di sentire l’altro. E’ fondamentale la valutazione delle nostre capacità,
intese come l’ Io individuato e allo stesso tempo in relazione con gli altri. Se l’Io non è
sufficientemente individuato, la relazione che si instaura non sarà una relazione empatica, ma sarà
adombrata da identificazioni primarie che assumono valore fantasmatico e che interferiranno nella
interpretazione dei dati ottenuti dalla osservazione e dal colloquio peritale.
Quindi fondamentale appare una percorso analitico e formativo che possa continuamente fornire al
perito gli strumenti per instaurare una relazione empatica e rendere oggettivabile l’alterità dei
vissuti emersi, al fine di raggiungere una valenza cosciente e consapevole dell’ascolto, ovvero una
neutralità che non sia distanza, ma una relazione pienamente consapevole.