Psicologia

Tuo figlio va male a scuola: scopri perché

Svogliato, distratto, irrequieto, incapace di dedicare attenzione alle lezioni. Alcuni atteggiamenti del bambino in classe rivelano disturbi specifici che è meglio individuare e classificare, per aiutarlo non solo a migliorare le proprie prestazioni nello studio, ma a crescere e relazionarsi. Dalla disgrafia alla depressione, la psichiatra e psicoanalista insegna come cogliere i segnali e dare un nome al problema.

Facile dire: non va bene a scuola. Difficile stabilire perché. Per iniziare a farlo, è bene parlare a lungo con gli insegnanti, cercare di cogliere campanelli di allarme, osservare i propri figli mentre studiano e fanno i compiti. Il nocciolo della questione sta nel non etichettare a priori una difficoltà nello studio, ma distinguere tra due tipi di problemi: disturbi della sfera emotiva e disturbi specifici dell’apprendimento.

I “disturbi specifici dell’apprendimento” (DSA) colpiscono il 4% della popolazione, 1 alunno ogni 25, e nella maggior parte dei casi emergono fin dalle scuole elementari, mentre a livello di studi superiori si rilevano con maggior frequenza negli istituti tecnici. Sono riconosciuti dallo Stato (MIUR) e classificati in: Dislessia, Disortografia, Disgrafia, Discalculia.
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Veniamo invece ai disturbi della sfera emotiva: i bambini che ne soffrono hanno difficoltà scolastiche nell’apprendimento ben più frequenti rispetto a quelli che mostrano “disturbi specifici dell’apprendimento”. Per i bambini/ragazzi che ne soffrono vengono utilizzate spesso definizioni generalmente inappropriate che rischiano di stigmatizzarlo fin dai primissimi anni scolastici: sono definiti chiusi, distratti, disattenti, annoiati, irrequieti, maleducati, oppositivi, svogliati, disinteressati alla scuola, aggressivi, isolati, permalosi, senza amici. Ma nella maggior parte dei casi si tratta di bambini con disturbi della sfera emotiva o depressione che nell’età evolutiva (il periodo compreso tra la nascita e i vent’anni circa) si manifesta in modo specifico e diverso rispetto agli adulti. Talvolta presentano instabilità dell’umore, alternano cioè momenti di tristezza e depressione con momenti di agitazione ed euforia che si manifestano come irrequietezza fisica, difficoltà a stare seduti, a concentrarsi e a stare attenti con pregiudizio nel rendimento ma non nell’apprendimento. Riescono infatti ad apprendere come gli altri bambini ma non sono in grado di riferire all’insegnante, né a voce né attraverso la scrittura, poiché disturbati interiormente da sollecitazioni emotive che interferiscono con l’espressività e rendono difficile entrare in relazione con gli altri. Tutto ciò procura loro grandi preoccupazioni e ansie fin da piccolissimi (3-4 anni di età), che non possono risolvere da soli.

In età evolutiva si osservano diverse manifestazioni a carattere depressivo che soddisfano soltanto in parte i criteri diagnostici comunemente utilizzati per gli adulti, che hanno caratteristiche peculiari per ogni fase dello sviluppo (infanzia, latenza, preadolescenza e adolescenza). Inoltre, i casi di quadri depressivi in età evolutiva sono più frequenti di quanto ritenuto in passato, possono essere cronici o ricorrenti, associati a una compromissione più o meno importante del funzionamento cognitivo (del pensiero), sociale e delle capacità di adattamento nelle varie fasce d’età. Solo pochi rischiano però di evolvere in disturbi o patologie psichiche più gravi, accade se non vengono individuati e curati per tempo con una terapia psicoananalitica, molto adatta ad affrontare questi casi poiché si occupa del funzionamento globale della mente, degli aspetti psichici cognitivi, emotivi ed inconsci, favorisce la crescita, l’armonizzazione e lo sviluppo strutturale e funzionale del pensiero e delle emozioni. Più raramente può essere necessario, negli adolescenti, un supporto farmacologico su indicazione dello psichiatra. (…)

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https://d.repubblica.it/famiglia/2013/11/27/news/bambini_scuola_apprendimento_disturbi-1905743/